AAA Cercasi Autore. Per interpretare nuova Questione Settentrionale

AAA Cercasi Autore. Per interpretare nuova Questione Settentrionale

Pin It

di Franco D'Alfonso

Quel che manca alla politica italiana oggi non sono le analisi né le parole per descrivere una situazione, ma i pensieri per dare indicazioni sulla direzione da intraprendere.

Sul  piano della “politique-politicienne”, si sono concretizzate due novità non irrilevanti.
La brillante operazione del premier Conte, che è riuscito a ricostruire intorno alla sua persona la fiducia politica e diplomatica dei partner europei e a tenere l’Italia attaccata al treno rilanciato da Merkel e Macron con Ursula von der Leyen alla guida, guadagnandosi con questo l’assicurazione sulla permanenza a Palazzo Chigi almeno fino alle elezioni presidenziali del 2022;  e la contemporanea disgregazione sul campo dei due azionisti di maggioranza del governo, Pd e 5stelle, che non solo non riescono a condizionare come facevano Salvini e Di Maio in alcun modo il presidente del Consiglio, ma nemmeno capitalizzano nei sondaggi e nelle elezioni locali lo sterminato sottopotere di cui si sono appropriati .

Questo significa che il sistema politico italiano affronterà il periodo di potenziale cambiamento più importante del dopoguerra in Europa - aperto dalla prima operazione di messa in Comune del debito, un fatto epocale, paragonabile all’introduzione dell’euro o all’allargamento a Est dell’Unione -  con un governo che fonda la sua credibilità sulla persona del premier e sulla sua conclamata capacità di non fare nulla di quello che dicono i suoi ministri e esponenti dei partiti e dei gruppi che gli danno i voti in Parlamento per stare in sella; e che anzi fonda tutta la sua capacità di azione sulla logica emergenziale che permette di ignorare il castello di leggi, regolamenti e procedure che proprio esponenti e partiti dell’attuale maggioranza hanno introdotto ma soprattutto continuano a invocare ed introdurre per compiacere il frastagliato patchwork di interessi assistenzialistici e di consorterie protette dai quali suppongono avere sostegno.

Vero è che spesso le fasi di cambiamento dello scenario internazionale nel nostro Paese sono state affrontate con formule di commissariamento più o meno dolci della democrazia, basate generalmente sul parlare male e razzolare più o meno bene : è stato così  con la Dc popolare e a capo di Gladio nel dopoguerra, con l’Ulivo di Prodi e D’Alema che effettuano le privatizzazioni ed il bombardamento di Belgrado “cantando di gioia e di rivoluzione” con Eugenio Finardi, con l’austero Monti che festeggiava il Natale con i nipotini dopo aver firmato decreti di taglio di tutto quel che c’era al di fuori della finanza bancaria.

Ma altrettanto vero è che l’Italia nel suo complesso sfangava una crisi gettando i semi di quella successiva : la compressione dei diritti civili e del lavoro nell’Italia del miracolo che generano le rivolte del 68/69 e i successivi “anni di piombo”, devastanti in misura sconosciuta a tutti gli altri paesi europei ;  la riduzione del ruolo del pubblico e la messa in minorità della politica nell’era dell’euro che apre le porte agli anni del sogno dell’arricchimento berlusconiano  individuale di massa e che si ritrova a dover pagare il conto degli “schema Ponzi” della politica molto prima di quanto avesse previsto;  la salvezza dei santuari finanziari a prezzo della distruzione di buona parte del tessuto produttivo che genera la jacquerie stellata e l’incubo del governo carioca scivolato al Papeete.

La progressiva distruzione del cosiddetto “sistema Paese”, qualunque cosa si intenda con questa espressione, ci ha reso incapaci di reggere le sfide che comunque il mondo in cambiamento veloce - già prima del covid-  ha continuato a produrre in maniera serrata e continua.

A titolo di esempio, basta pensare l’effetto di quindici anni di fondi europei per lo sviluppo :  con indice 100 il Pil del 2005 del Mezzogiorno d’Italia e dei paesi dell’Est e della Grecia, zone obiettivo principale della politica di riequilibrio economico della Ue, l’indice odierno del Mezzogiorno è 102, mentre quello della Polonia è 260, la Cekia è 220, la Romania è 160, perfino la Grecia è intorno a 120.  La totale inadeguatezza istituzionale, politica, amministrativa dell’Italia ha fatto sì che la “montagna di denaro” effettivamente utilizzata, che se è colpevolmente inferiore a quella dei fondi a disposizione non utilizzati, è pur sempre superiore in termini reali all’ammontare del famoso “Piano Marshall”, è stata sostanzialmente sprecata in malo modo, facendo aumentare invece che diminuire il divario non solo con le zone più economicamente sviluppate dell’Europa, ma generandone uno nuovo con zone e paesi che sono partiti da condizioni ben inferiori alle nostre.

La nuova “montagna di denaro” tenterà di indurre un salto importante all’intera Europa sul piano della “green economy”, della digitalizzazione dei servizi e della produzione e della sicurezza sociale e sanitaria, un obiettivo difficilissimo e niente affatto scontato per un continente in fase di declino economico, demografico e politico come il nostro.

Il rischio che il “vagone Italia” venga sganciato è ancora molto alto, non solo e non tanto perché non sappiamo per quanto tempo possano bastare le rassicurazioni di “Giuseppi” e di Mattarella - ai nostri più o meno frugali partner- sul fatto che spiegheranno presto ai vari ministri ed elargitori seriali di bonus che non abbiamo vinto la Lotteria ed a Salvini che sì, i debiti si restituiscono e non in comode rate come i 49 milioni di euro della Lega.

C’è una caratteristica nuova, niente affatto piacevole, nella crisi del Covid, che è stata fino ad ora sottovalutata : per la prima volta nella storia della Repubblica la crisi si è concentrata nel Nord ed in particolare in Lombardia, generando l’effetto paradossale di ridurre il gap Nord Sud per stop della “locomotiva”. In tutte le crisi del dopoguerra, compresa quella finanziaria del 2011, il cuore economico e produttivo del nostro Paese era sempre riuscito a mantenere il suo ruolo di traino, essendo il primo a ripartire ed a dare il segnale di ripresa a tutti.

Il “lock-down” ha generato una situazione mai vista, con la perdita di 11 punti di Pil nel 2020 che per almeno 8-9 si sono concentrati in Lombardia. Ciò significa che  la  caduta effettiva del Pil  della Regione nella quale si concentra il 26 per cento del Pil nazionale sarà  di almeno il 25/30 per cento nel 2020, una misura che nemmeno durante una guerra  si era mai registrata. 

La questione del Nord è sul tappeto non per la “secessione dei ricchi”, ma per le difficoltà di un modello che si basava sulla dinamicità che si ritrova ferito ed intorpidito con i bachi del proprio sistema, come il clamoroso disastro della sanità territoriale della Lombardia e del Piemonte ( ma non di quella dell’Emilia e del Veneto), con la necessità di inventarsi ancora una volta un proprio ruolo ed uno sforzo collettivo, dovendo fare per la prima volta i conti con i danni e non solo con il “fastidio” indotti da istituzioni che sente lontane ed ostili e con una inefficienza della PA che già aveva superato i livelli di guardia. Come reagiranno le grandi città, a partire da Milano, ed il Nord delle Pmi, delle partite Iva, dei servizi, della scuola e delle Università  e delle professioni ?

Se in passato il meridionalismo qualchecosista e piagnone come quello del ministro Provenzano o la improvvida voce dal sen sfuggita del ministro Speranza che spiega come l’emergenza Covid dia “la possibilità di coprire il gap sanitario con assunzioni ed investimenti nella Sanità del Sud che è stata penalizzata ( !) dai tagli degli ultimi anni “ sollevava polemiche, fastidio e qualche ironia da parte di chi alla fine “pensa al suo” e dal tempo dei Savoia si disinteressa di fatto della politica “romana”, il giochino questa volta rischia seriamente di rompersi.

Nessuno può pensare che l’accesso ai fondi europei e la gestione dei progetti operativi possa essere possibile con questo assetto politico ed istituzionale. Qualche primo piccolo, timido segnale di ricerca di innovazione politica viene dai sindaci delle Città Metropolitane ( l’istituzione peraltro mai nata e peggio messa di tutte) che attraverso il sindaco di Firenze Nardella ( il meno “metropolitano” di tutti, a ben vedere..) chiedono ancora con molta, troppa timidezza un ruolo gestionale diretto sui progetti di sanità territoriale. Ma ancora la spinta all’innovazione politica non si vede, non si percepisce.

Il tempo delle illusioni dovrebbe essere finito da un pezzo, per tutti.
Occorrono pensieri e parole nuove.
E ancora qualche Mogol che sappia metterle bene in musica!


BLOG COMMENTS POWERED BY DISQUS

Questo sito fa uso di cookie. Utilizziamo sia cookies tecnici sia cookies di parti terze. Può conoscere i dettagli consultando la nostra informativa della privacy policy.
Premendo OK prosegui nella navigazione accettando l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.